Per dare voce a tutte le vittime innocenti che non possono gridare

Due Marce per dar voce a chi non ha voce,  per quelle vittime innocenti che non possono gridare il loro dolore

Il 19 gennaio 2018, come ormai è tradizione da 45 anni, si è svolta la Marcia per la vita di Washington. La manifestazione è nata come risposta all’iniqua sentenza Roe versus Wade, la quale nel 1973 ha introdotto l’aborto nella legislazione americana. Difficile oggi non soppesare la gravità storica e simbolica di quella assurda sentenza.

Il prestigio morale e politico che avevano allora gli Stati Uniti, visti come il garante della democrazia e della libertà a fronte del mondo tirannizzato dai vari regimi comunisti, era immenso. E l’opinione pubblica occidentale fu tratta nell’errore di credere che la legalizzazione dell’aborto fosse ormai un diritto della donna, visto che l’America, simbolo della civiltà e del Progresso, lo aveva inserito nel suo ordinamento.

Non è un caso infatti che moltissimi paesi del mondo libero introdussero l’aborto nelle proprie legislazioni proprio negli anni che seguirono la sentenza Roe. In Italia, la legge 194 che consente l’aborto è infatti del 1978, in Francia del 1975, e in tutta Europa il diritto ad abortire fu legalizzato negli anni che seguirono la sentenza americana.

Molti però ignorano 2 aspetti di quella assurda sentenza.

Anzitutto il fatto che la vincitrice in tribunale, ossia Norma Mc Corvey (chiamata al tempo Jane Roe per rispetto della privacy), successivamente si è pentita totalmente e pubblicamente della sua iniqua azione legale. Si è anche convertita al cristianesimo ed è diventata un’ardente militante pro life!

Nata nel 1947 e deceduta nel 2017, Norma a partire dagli anni ’90 del secolo scorso fa parlare di sé le due sponde dell’Oceano. Da paladina mondiale del femminismo e delle sue assurde rivendicazioni, è diventata una dinamica icona pro life, fino al punto di richiedere alla Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 1996, il ritiro della sentenza in favore di Jane Roe e quindi l’abolizione del diritto di abortire. Scrisse perfino una lettera a Nelson Mandela per scongiurarlo di evitare l’introduzione dell’aborto in Sudafrica, ma purtroppo il leader antirazzista non le diede ascolto.

Una seconda verità ignorata dai più è questa. In America, in forza di quella sentenza, è lecito abortire sino ad un momento prima della nascita. Il bambino quindi, anche all’ottavo e al nono mese può essere soppresso dal medico. Ma se dovesse casualmente nascere vivo, dovrebbe essere curato e salvato! Oggi che già dalla ventiduesima settimana si riesce a mantenere in vita il bambino fuori dal grembo materno, questa legislazione lassista dovrebbe semplicemente generare orrore. E i più stolti sono coloro che credono ancora alla leggenda della vita pre-umana del feto, che miracolosamente, a partire dal terzo mese (o da altri momenti della gravidanza), diverrebbe umana e quindi intangibile e degna di rispetto. Sarebbe come dire che una donna che abortisse a 3 mesi e una settimana sarebbe un’assassina da reprimere, mentre una che lo facesse a 3 mesi meno una settimana sarebbe una rispettabile cittadina democratica!

La Marcia per la vita ha radunato quest’anno oltre 100.000 persone, e specialmente famiglie e giovani, di tutte le tendenze politiche e di varie comunità religiose. I cattolici ed i cristiani non-cattolici erano, al solito, il gruppo più folto e più attivo. I Vescovi americani, più sensibili a queste tematiche di altri presuli, hanno ancora una volta dato appoggio alla Marcia anti-abortista. In particolare, per decisione dei cardinal Wuerl, arcivescovo di Washington, i marciatori per la vita hanno potuto acquisire l’indulgenza plenaria dei peccati (già rimessi quanto alla colpa), come si usa per i giubilei o per i pellegrinaggi nei santuari della cristianità.

Ma la cosa più strabiliante ed eccezionale della Marcia del 2018 è stata la partecipazione di Donald Trump in persona, collegato con la piazza attraverso il mezzo della video-conferenza. Come nota giustamente Carlo Tarallo su La Verità, “The Donald ha pronunciato un discorso che ha scaldato il cuore delle decine di migliaia di partecipati alla manifestazione, che si è snodata lungo il centro della capitale per concludersi davanti alla Corte suprema. Mai nella storia americana un presidente era intervenuto con un discorso: alcuni dei sui predecessori repubblicani avevano inviato messaggi di saluto, mentre i presidenti democratici, a partire da Barack Obama, si erano sempre tenuti alla larga, sia fisicamente che politicamente, dalla marcia” (21.1.2018, p. 6).

Ma cosa ha detto Trump ai difensori della vita e dei più deboli? Ebbene, lo stesso quotidiano Avvenire, su posizioni assai critiche nei confronti del presidente americano, ha dovuto riconoscere che Trump “ha ribadito la sua contrarietà all’aborto, legale negli Usa dal 1973”. Secondo Trump, “La Marcia per la vita è un movimento nato per amore: amore per la famiglia, per il prossimo, per la nazione, per ogni bambino nato e non nato, perché credete che ogni vita sia sacra, che ogni bambino sia un dono prezioso di Dio”. Parole di alto significato umano e cristiano.

Entrando nella sfera politica, il presidente più contestato (dai mass media e dalle lobby di potere), ha dichiarato: “Sotto la mia amministrazione, difenderemo sempre il primo diritto sancito dalla Dichiarazione di indipendenza, e questo è il diritto alla vita (…). Ho anche ribaltato la politica della precedente amministrazione per indirizzare i finanziamenti del Medicaid lontano dalle strutture per l’aborto che violano la legge [riferimento implicito a Planned Parenthood, associazione abortista che guadagna milioni di dollari con la soppressione degli embrioni su vasta scala]. Stiamo proteggendo la santità della vita e della famiglia, come fondamento della nostra società”.

Parole senza dubbio di alto respiro, che danno gioia ai pro life del mondo intero e rabbia ai cosiddetto pro choice, ovvero a tutti coloro che considerano il feto umano in via di sviluppo più o meno alla stregua di un dente cariato.

Non meno successo ha avuto la Marcia per la vita che si è svolta a Parigi il 21 gennaio scorso (seppure senza alcun intervento del presidente Macron, o di altri rappresentanti del suo governo: paese che vai, forma mentis che trovi…).

Oltre 40.000 persone, in una fredda e piovosa domenica pomeriggio, hanno sfilato per dire NO all’aborto, all’eutanasia, agli esperimenti genetici che implicano distruzione di embrioni e a tutti gli altri attentati alla dignità insopprimibile dell’essere umano. Alla Porte Dauphine di Parigi, il palco montato per la manifestazione aveva questo splendido slogan: “La vita è un diritto, non una scelta”. L’opposto dell’assurdo slogan femminista degli anni 70 che diceva: mon corps – mon choix, ovvero “il mio corpo, la mia scelta”. Già! Ma il corpo del bambino, pur intimamente legato a quello della madre, ha un altro patrimonio genetico e quindi… è il corpo di un’altra persona!

Purtroppo la Francia, con oltre 200.000 aborti l’anno è uno dei paesi al mondo con il tasso più alto di interruzioni volontarie della gravidanza. E rispetto all’Italia con pochissimi medici obiettori. Addirittura esiste una legge che vieta il contrasto all’aborto e alcuni politici progressisti vorrebbero chiudere i siti internet che scoraggiano ad abortire e consigliano alle donne di portare a termine la gravidanza.

Bisogna dire però che le nuove generazioni dei giovani francesi, sia per la difesa della famiglia tradizionale che per il rispetto della vita umana nascente o declinante, stanno facendo molto più di coloro che li hanno preceduti.

Il futuro quindi è denso di speranze e di sogni. La fine della liberalizzazione dell’aborto di Stato resta un sogno che con l’impegno di tutti può senz’altro divenire realtà.

Antonio Fiori

 

 

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