Coronavirus, gli ospedali sono intasati ma di malati lievi. Il vero pericolo

Si parla di corsie intasate, ma metà dei pazienti oggi ricoverati in ospedale per Coronavirus non sono gravi, e per questo dovrebbero essere curati a casa.

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Pare invece che il governo punterebbe a giusitificare un nuovo lockdown proprio in ragione di questi numeri, che emergono da un contesto poco chiari e secondo alcuni del tutto falsato.

La dottoressa del San Raffaele: “il 60% dei pazienti da curare a casa”

La denuncia parte dal quotidiano online lanuovabq.it, che con un inchiesta in alcuni ospedali ha spiegato che molti dei pazienti non avrebbero affatto bisogno di essere ricoverati. Per questo, la tesi è che la soluzione per uscire dalla crisi è del tutto contraria a quella che viene prospettata dal Governo. Ovvero, servirebbe una de-ospedalizzazione.

In maniera ancora più scientificamente autorevole lo ha affermato la responsabile della Medicina d’Urgenza del San Raffaele di Milano, Marzia Spessot. “Il 60 per cento dei nostri pazienti covid non dovrebbe essere nel nostro ospedale, ma potrebbe ricevere cure in un contesto domiciliare o in un ospedale covid-dedicato”, ha detto la donna.

La responsabile della Medicina d’Urgenza del San Raffaele di Milano, Marzia Spessot – photo web source

Coronavirus, con la de-ospedalizzazione i reparti si svuoterebbero

In questo modo i reparti si svuoterebbero e l’emergenza cesserebbe di esistere in un solo colpo. Una testimonianza che dovrebbe interrogare la politica, se veramente interessata a risolvere il problema del Coronavirus e non ricorrere ad altri lockdown. A differenza di quanto sembra sia la strada che, tra poco, si sta per imboccare nuovamente. Con conseguenze che potrebbero essere del tutto catastrofiche dal punto di vista economico e sociale.

D’altronde, gli scontri nelle piazze delle ultime settimane evocano scenari da conflitti civili che qualsiasi governo responsabile dovrebbe al più presto scongiurare. Anche le regioni stesse, questa volta chiamate in campo a prendere decisioni importanti sulla gestione della crisi, dovrebbero fare sentire chiaramente la loro voce.

La dinamica auto-lesionista che le istituzioni non vogliono capire

Invece si continua a procedere in una dinamica autolesionista, in cui all’improvvisazione si unisce la scelta di posizioni controproducenti. “Mi limito a fotografare la realtà che ho sottomano e posso dire che tutti i giorni da metà agosto ad oggi, da quando cioè siamo rientrati dalle vacanze, ho dei contatti telefonici con amici, figli di amici, conoscenti: tutti, alla notifica di una positività hanno bisogno di rassicurazioni, informazioni e cure”, ha spiegato la dottoressa.

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Un meccanismo che porta gli ospedali a intasarsi anche se non ce ne sarebbe affatto il bisogno, e di conseguenza il governo finisce per leggere questi numeri come quelli di una grave emergenza, che legittimano nuove restrizioni pesanti e altrettanto pericolose quanto il Coronavirus. A lungo andare, forse persino di più, se il governo non sarà capace di trovare in fretta soluzioni per affrontare i disagi delle famiglie.

I medici dovrebbero essere responsabili e offrire rassicurazioni

La dottoressa ha continuato spiegando che, dal suo punto di vista, sono i medici stessi che dovrebbero proporsi con atteggiamenti diversi. Offrendo rassicurazioni ai pazienti e permettendo alle strutture sanitarie di funzionare nella maniera migliore.

Entrando nel contesto odierno, la donna ha spiegato che al San Raffaele di 50 ricoveri diagnosticati per Coronavirus, “4 di loro hanno la CPAP (l’apparecchio o casco per la ventilazione non invasiva), presentano un tipo di gravità medio-alta. 16 sono pazienti che necessitano di ossigenoterapia a flussi medio alti e 30 hanno polmoniti lievi”.

Coronavirus: il rischio è l’abbandono dei malati di altre patologie

“I lievi hanno un basso fabbisogno di ossigeno, inferiore al 30 per cento”, ha spiegato la dottoressa, specificando cioè che queste persone non avrebbero bisogno reale di essere ricoverate, ma potrebbero curarsi tranquillamente nelle proprie abitazioni. “Il reparto si svuoterebbe del 60 per cento”, è la tesi conclusiva della dottoressa.

“Potrebbero ricevere un’adeguata terapia farmacologica e ossigenoterapia domiciliare attraverso le USCA o la medicina territoriale. Oppure, se mancano di contesti di care giver bisognerebbe creare per loro strutture ad hoc, cioè ospedali covid-dedicati dove non ci sono ulteriori specializzazioni”.

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Considerato inoltre che, se non si giunge al più presto a questa soluzione, “andremmo incontro a un problema gigantesco sul fronte delle altre patologie“. “Lavorando in medicina d’urgenza non ha idea di quante diagnosi di tumori ritardati e problemi cardiologici avanzati abbiamo fronteggiato in giugno e luglio per persone che non hanno ricevuto le cure cui avrebbero avuto diritto“.

Giovanni Bernardi

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