L’Italia finalmente il 4 maggio ha riaperto le porte, dopo due mesi di forti sofferenze dovute al Coronavirus.
Ma il ritorno al lavoro è solo parziale e quello che ci aspetta dal punto di vista economico sarà un periodo di difficoltà e tensioni.
Secondo molti, la chiusura è stata quantomeno necessaria per salvare il maggior numero di vite possibili, nonostante i decessi siano stati terribilmente molto. Una parte del mondo industriale e politico tuttavia non era del tutto d’accordo, ma salvaguardare vite umane non può che essere la priorità in circostanze così delicate.
Coronavirus, da sanitaria ora la crisi è economica
Si tratta di quanto affermato anche da don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e lavoro della Conferenza episcopale italiana, che ora però mette realisticamente in guardia da problemi molto seri, che riguardano le esigenze dell’economia.
“Oggi abbiamo il dramma della conta dei morti provocati dal virus ma domani potremmo dover contare le vittime della perdita di posti di lavoro e anche questo sarà devastante dal punto di vista sociale”, ha affermato don Bruno al settimanale Famiglia Cristiana.
Serve un sistema sanitario solido
Per questo per avere un’economia solida specialmente in un momento così duro serve anche “un sistema sanitario altrettanto solido”. Per “garantire la salute e l’incolumità dei lavoratori. Solo con queste premesse è possibile tornare a produrre”, spiega don Bruno.
Nel momento delle decisioni sono sembrate essere due le strade percorribili. La prima, di vigilanza durissima riguardo alla diffusione del contagio, con tamponi a tappeto per isolare i positivi, anche se asintomatici. Purtroppo questa strada è stata presa solo nelle regioni che hanno risposto meglio al virus, come il Veneto.
La scelta di chiudere tutto e le conseguenze da affrontare
Quindi la scelta, a livello nazionale, è ricaduta sulla chiusura totale di tutte le attività, provocando però pesanti conseguenze di natura economica. Visto che la prima non era possibile, in quanto il nostro Sistema sanitario non disponeva della possibilità di somministrare test a tappeto, né tanto meno di tracciare informaticamente i contatti tra le persone.
“È il momento in cui bisogna fare discernimento se davvero le scelte che sono state operate sono state le più opportune. Questa pandemia ci dice che se vogliamo un sistema economico forte dobbiamo avere un sistema sanitario altrettanto forte. Altrimenti l’immagine biblica del gigante dai piedi d’argilla è emblematica. L’interesse economico senza tutela della salute pubblica non regge”, afferma don Bruno.
Coronavirus, il welfare saprà reggere?
Per questo sarà importante anche che il nostro sistema di welfare possa rispondere al meglio alle esigenze che le persone avranno nei prossimi mesi. Di fronte a un lavoro instabile, che cambia, sempre più precario, anche gli ammortizzatori e i sussidi andranno adeguati sempre più, con redditi universali e incondizionati che permettano alle persone di adeguarsi sempre meglio al mercato del mondo del lavoro, ormai rivolto verso la flessibilità in una maniera che sembra impossibile da fermare.
“Penso che sia il tempo di capire che direzione vogliamo prendere: sarebbe profondamente sbagliato ricominciare come se nulla fosse successo e rimettere in atto un’economia così aggressiva ed escludente nei confronti delle fasce più deboli della società”, conclude don Bruno.
Ripensare la società dopo il coronavirus
“Sarà necessario ripensare il Welfare, la tutela sociale, la politica industriale, le strategie economiche in un’ottica non assistenzialistica ma di reale integrazione e valorizzazione delle persone. Si dovrà ripartire con prospettive diverse, ma temo sarà difficile perché non avverto in questa fase un’adeguata riflessione di senso per il dopo”.
Già dalle prossime settimane si dovrà ripensare alle categorie più colpite, a partire dai medici che sono ancora in prima linea, molti pagando con la vita, e dove ci sarà bisogno di un ricambio. Per questo anche le facoltà di medicina dovranno permettere ingressi maggiori, magari abolendo il numero chiuso.
Garantire i servizi essenziali e dare dignità al lavoro
Andranno poi garantiti i servizi essenziali. Bisognerà puntare sui settori necessari permettendo maggiore forza umana, come ad esempio nel settore dei marittimi in cui in queste settimane si è lavorato a ritmi insostenibili. Oppure al settore agro-alimentare, dove il lavoro in nero, sfruttato e sottopagato prolifera a ritmi vertiginosi.
C’è bisogno ciò di riscoprire che il lavoro determina la qualità della vita delle persone, che non sono strumenti al servizio del profitto di chi deve battere la concorrenza. “Questa potrebbe essere, a certe condizioni, un’eredità positiva dell’epidemia.
Le crisi permettono di sperimentare
Le crisi permettono di sperimentare e la tecnologia potrà aiutarci ad affrontare in maniera diversa e più solidale questioni come la conciliazione tra famiglia e lavoro e il sistema dei trasporti e il suo impatto sull’ambiente”, spiega don Bruno.
In tutto ciò, nella crisi del coronavirus la Chiesa ha rappresentato un faro, un esempio da seguire per tutte le strutture economiche e sociali del futuro. “Si è vista una profonda solidarietà espressa della Chiesa.
Il coronavirus ha messo in luce le contraddizioni
Il blocco del Paese ha esasperato la situazione di persone in condizione precaria che da povertà è diventata miseria”, sottolinea in conclusione don Bignami. “L’altro fronte su cui la Chiesa deve dire una parola è quello culturale: bisogna capire cosa sta avvenendo e quali conversioni ci chiede questa situazione.
Ci attende un grande lavoro di discernimento condiviso: è un’azione complicata, ma anche la più preziosa se si vuole andare oltre l’angoscia per il futuro e dare motivi di speranza“.
Giovanni Bernardi
fonte: famigliacristiana.it
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