Como, Don Roberto ha dedicato la vita ai poveri. Uno di loro lo ha ucciso

Dopo il drammatico omicidio di don Roberto Malgesini, ci si chiede per quale ragione l’assassino era in Italia dopo avere ricevuto due mandati di espulsione.

Cresce infatti la rabbia dopo la morte del sacerdote di Como. Don Roberto era amato da tutti, benvoluto da tutti, e ha donato la sua vita per gli ultimi e per i poveri. Per questo il colpo mortale da parte di un tunisino suscita ancora più sconforto e dolore.

Il tunisino era ben noto alle forze dell’ordine

L’uomo, di nome Radhi Mahmoudi, si è subito consegnato alle forze dell’ordine. Non aveva diritto di stare nel nostro Paese già dal 2014. Eppure era qui. Una constatazione che molti trovano ingiusta e assurda.

Il tunisino è in Italia dal 1993, e aveva alle sue spalle un matrimonio fallito, con una ragazza italiana. Oltre che una vita dura e travagliata, segnata dalla perdita del lavoro. E da due condanne definitive. Dovute a maltrattamenti in famiglia e ad estorsione.

Il tunisino era pericolosa e non avrebbe potuto stare in Italia

Una persona quindi, di fatto, pericolosa. Ragione per la quale non avrebbe potuto stare in Italia. Il dato che genera ancora più sconforto, è che sono molti i casi analoghi al suo. La difficoltà di gestire gli immigrati irregolari, infatti, da parte dello Stato italiano, è molta.

Gran parte delle persone che entrano di nascosto in Italia finiscono in questa condizione. Mentre le leggi italiane, secondo quanto afferma l’avvocato Mauro Straini all’agenzia Agi, sono praticamente impossibili da applicare.

La legge per il rimpatrio degli irregolari è “utopica”

La legge che regolamenta la gestione degli immigrati irregolari è cioè “utopica in quanto inapplicabile sia dalla parte dello Stato che della persona espulsa”. Se non ci sono accordi con i paesi di provenienza, inutile mettere nero su bianco che l’uomo andrebbe riportato a casa sua. Non si può fare, semplicemente perché non si riesce a farlo.

Radhi era stato fermato dalla Questura di Como il giugno 2018, durante un controllo in cui non aveva con sé, giustamente, alcun documento. E quindi le forze dell’ordine lo avevano lasciato con in mano un “foglio di via“. Ma Radhi via non voleva andarci, così ha presentato ricorso. In questo, affermava di volere restare in Italia, per motivi di salute.

La difficoltà di fare eseguire le espulsioni degli irregolari

Il giudice di pace aveva rigettato l’istanza. Tuttavia il tunisino continuava a restare qui. Fermato altre volte, la scorsa primavera, il suo nome ormai compariva tra gli “irregolari”. Ma niente più. Il provvedimento di espulsione, in questo caso, risultava inapplicabile per via della chiusura delle frontiere, dovuta alla pandemia.

Un caso, quindi, tra tanti. Le espulsioni solitamente non vengono eseguite a causa di due motivazioni. La mancanza di accordi con i paesi di provenienza, la prima. La seconda è il costo eccessivo per le casse dello Stato italiano.

Don Roberto ha dedicato la vita ai poveri e agli ultimi

I numeri di persone irregolari in Italia è alto, e pensare di organizzare per ognuno di loro spedizioni con militari al seguito è del tutto insostenibile. Tanto dal punto di vista economico quanto per il numero di militari che andrebbero impiegati. Radhi Mahmoudi era anche un senza fissa dimora. Alloggiava nella casa di accoglienza della parrocchia di Sant’Orsola.

A lui don Roberto dedicava gran parte delle sue serata, come anche a tutte le persone nelle sue condizioni. Il sacerdote portava loro la cena, sulla sua panda grigia. Parlava con loro, portava conforto, una parola buona. Applicava così la Parola del Vangelo, stando con gli ultimi. E proprio da uno di questi ultimi ha ricevuto il colpo mortale.

Don Roberto aveva offerto assistenza al tunisino in ambito legale

Don Roberto aveva offerto assistenza a Radhi anche per quanto riguarda i processi che aveva con la giustizia italiana. Don Roberto gli aveva addirittura procurato un legale per difendersi. Nel suo racconto confuso, il tunisino ha offerto la sua versione dei fatti. Palesando, hanno spiegato gli inquirenti, “un disagio psichico da approfondire con una perizia per capire se possa avere inficiato la sua capacità di intendere e di volere”.

Don Roberto è un martire della carità. Ha testimoniato l’amore di Cristo, per tutti, in particolare per gli ultimi e i poveri, in cui il sacerdote rivedeva la sofferenza dell’umanità, quindi la carne viva di Gesù, il centro della sua missione. Purtroppo, però, qualcosa è andato storto. La carenza della giustizia italiana, bisogna dirlo, ha una colpa in tutto ciò.

La voce di don Roberto, e la sua missione, continua a vivere, nel volto buono e caritatevole della Chiesa. Preghiamo per lui e per la sua anima. Che il Signore lo accolga tra le sue braccia e faccia risplendere in lui la Sua luce di vita eterna.

Giovanni Bernardi

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