La dottoressa D’Anna, insieme al suo team, sta proponendo, nell’ospedale Buccheri la Ferla di Palermo, un progetto di Comfort Care, un’autentica alternativa all’aborto, che permette di aiutare i genitori ad accettare che il figlio, portato in grembo, probabilmente non sopravvivrà alla nascita. Nonostante ciò, quel bambino avrà bisogno di tutto l’amore possibile, per sentirsi accettato, anche per le poche ore di vita che gli saranno regalate dal Signore, pure se vissute solo nel grembo materno.
La dottoressa ci racconta come questo processo viene elaborato dai genitori, attraverso la testimonianza di Francesca e Salvatore, che erano in attesa del loro secondo figlio, Gabriele.
Il bambino è morto al nono mese, nel grembo materno.
La mamma, seguita dalla dottoressa D’Anna, decise di scrivere la sua storia, per parlare di Gabriele e di cosa avesse significato farlo crescere per nove mesi.
La testimonianza di una madre
“Gabriele ha significato vincere tante paure: la paura di convivere giorno e notte con l’idea della morte, la paura di andare controcorrente, la paura di far soffrire il nostro primogenito, scegliendo di dare un’opportunità di vita al secondo … ma soprattutto Gabriele ha significato capire il vero significato dell’amore. Lui non mi ha mai chiesto altro, non mi ha mai neanche dato troppi dei tipici disturbi di gravidanza, mi ha sempre solo chiesto di essere amato ed accettato così per quello che era, con le sue manine imperfette, con i suoi polmoni non sviluppati, con il suo cuoricino spostato a destra …”.
L’efficacia del Comfort Care
Il percorso era arduo, ma loro sentivano il sostegno del Signore, che li aiutava a sostenere la croce: “Abbiamo avuto tanti dubbi in quei mesi: come accogliere Gabriele, se provare ad intubarlo alla nascita oppure no, se parlarne a nostro figlio Alessandro, dicendogli tutta la verità o lasciare che il tempo ci consigliasse, via, via, cosa dire … ma mai abbiamo pensato che lottare con tutte le nostre possibilità nel difendere una vita, frutto del nostro amore, del nostro desiderio di famiglia, potesse essere la scelta sbagliata o insensata, come invece qualcun altro si è permesso di giudicarla. Ritengo che questa sia stata la nostra fortuna principale, il fatto di non avere mai avuto dubbi riguardo l’istinto di protezione che abbiamo provato da subito verso la nostra creatura, riguardo la voglia di non negargli l’opportunità di venire alla luce, se possibile di essere curato, se possibile di vivere dignitosamente per un tempo più o meno lungo”.
Francesca si riferisce soprattutto al giudizio di alcuni medici che la consigliavano, deridendola, diversamente e si può immaginare come.
“Sentirsi guardare con gli occhi sgranati e rispondere letteralmente “Ci dispiace, hai fatto una pazzia, ti auguriamo che nel momento del parto tu possa trovarti lontana da qui, perché non sapremmo come aiutarti”. Oppure “Se fossi venuta a parlarmi di questa gravidanza in tempi in cui la legge consentiva ancora l’aborto terapeutico, ti avrei convinta (o costretta, non ricordo bene il termine esatto) a farlo”, ecco, questo è quello che intendo per mancanza di rispetto! Si parla tanto di libertà di scelta delle donne, di rispetto del corpo femminile, non credo che questi medici possano dire di avermi rispettato pronunciando quelle frasi”.
E mai Francesca e Salvatore hanno voluto rischiare di dare problemi al feto, facendo ulteriori e ormai inutili accertamenti, ma hanno vissuto quei nove mesi come se tutto stesse andando bene, gioendo per quella vita nuova e per i calci che dava. Agli amici o a chi faceva domande, rispondevano serenamente, come serena era la loro coraggiosa e ferma decisione.