E’ una dottoressa italiana, che opera alla Columbia University di New York, la neonatologa Elvira Pallavicini, che promuove la tecnica del Comfort Care. Si tratta di un’attività medica che si prefigge di dare valore alla vita dei neonati, destinati a sopravvivere per pochissimo tempo. Un paio di anni fa, la dottoressa fu in Italia, ad un meeting a Rimini, per raccontare questa procedura, che le ha fatto guadagnare, giustamente, l’appellativo di “custode degli angeli” : “Nel mio ospedale, in America, si discutevano i vari casi e il ginecologo presente prospettava sempre come soluzione l’aborto. A quel punto mi sono sentita impotente e ho deciso di non partecipare più a queste riunioni di gruppo. Facevo il mio lavoro, assistevo i neonati. Poi, dopo un paio di anni, la persona responsabile della diagnosi prenatale mi ha chiesto di tornare a partecipare alle riunioni. E ho sentito come questo invito fosse in realtà il richiamo del Mistero a tornare indietro. Mi sentivo morire, ma ad una riunione si è parlato di donne che nonostante tutto non volevano assolutamente abortire. Era il 2006 e a quei neonati abbiamo applicato per la prima volta il comfort care.”.
Il comfort care è quindi un programma di conforto, vero e proprio, che consiste nel far stare a contatto il più possibile i genitori, e gli altri parenti, al neonato, che vuole essere accolto, coccolato, abbracciato. Anche se quel bambino vivrà pochi istanti o pochi giorni, si sentirà in questo modo accettato dalla famiglia e curato, per il tempo in cui resterà in vita.
Tutto questo è reso possibile grazie all’equipe della dottoressa Pallavicini, ma anche al coraggio dei genitori che, pur sapendo, mesi prima, che il loro bambino nascerà in condizioni di salute precarissime, decidono di non lasciarlo morire, tramite uno sterile aborto, come se fosse un problema da eliminare al più presto, ma lo desiderano fino alla fine e lo amano per il tempo che è concesso loro. E a volte -racconta la dottoressa- accadono dei miracoli, come nel caso di Alejandra, una bambina che sembrava dovesse sopravvivere solo pochissime ore, a causa di una grave infezione intestinale, ma che adesso ha cinque anni e va a scuola regolarmente. “Il goal, l’obiettivo della terapia, non è la guarigione, ma permettere a Dio di agire.”. E questa ci sembra un’intenzione molto onorevole che, grazie al Signore e a dottori come la nostra Pallavicini, sta prendendo piede: “L’ideale sarebbe che venisse applicato in modo sistematico, che entrasse nei protocolli. Il problema è “etico” perché molti pensano che non ne vale pena. Io dico invece che fai tutto questo se pensi che un bambino, un neonato fragilissimo ha la tua stessa dignità.”.
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