Chiesa e migranti (seconda parte)

Chiesa e migranti seconda parte
Il Papa e i migranti

Eccoci dunque al nocciolo della questione del rapporto Chiesa e migranti. Molti autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica hanno esternato posizioni che per certi aspetti vanno oltre il Magistero espresso dal Catechismo e che abbiamo indicato nel precedente intervento  : cessa ogni riferimento alle effettive capacità di accoglienza delle nazioni ospitanti e, a parte generici inviti ai migranti di «rispettare le leggi dei paesi che vi ospitano» (gennaio 2018, giornata mondiale del migrante), il motto è accogliere, proteggere, promuovere, integrare[1]. Ricorderete tutti come il Papa “entrò” persino nella campagna elettorale statunitense affermando (riferendosi a Trump) che chi costruisce muri “non è cristiano”, prendendo così posizione tra i due contendenti alla casa Bianca. Il riferimento era al muro costruito da Clinton al confine col Messico quasi 20 anni prima, che Trump voleva (e vuole) completare.

È ormai assodato che la stragrande maggioranza di coloro che arrivano negli ultimi anni in Italia sono migranti volontari, che cioè provengono da contesti in cui la loro libertà non è necessariamente minacciata e scelgono di intraprendere un viaggio lungo, pericoloso e costoso per motivi economici: nigeriani, bengalesi e pakistani sono (a sorpresa) le tre nazionalità più diffuse tra i richiedenti asilo. Ed ecco dunque le dolenti note: dei quasi 350mila immigrati giunti in Italia dal 2016, dallo stesso anno solo 12614 sono stati accolti da altri paesi UE. Questa chiusura da parte dell’Europa crea un intasamento nei nostri centri di accoglienza, nonostante il recente calo dei flussi in entrata.

Altra dolente nota, per la gestione del numero crescente di migranti l’Italia giunge a spendere nel 2017 ben 4 miliardi e 363 milioni di euro, di cui appena 77 milioni sono gli aiuti europei. È evidente dunque come la frase che spesso abbiamo sentito dire (l’Europa ci ha lasciati soli nella gestione dei migranti) sia vera. È però altrettanto vero che l’Italia riesce comunque a mettersi nei guai con le proprie mani: mentre in Germania quasi l’80% degli ordini di rimpatrio emessi negli anni 2013-2017 sono stati eseguiti con successo (quasi 220mila su 280mila), in Italia siamo a percentuali invertite, perché oltre l’80% dei migranti con ordine di rimpatrio diventa clandestino, svanendo nel nulla[2]. Si tratta della conseguenza della maggior o minore efficacia degli accordi bilaterali che ogni Paese stipula con le nazioni di provenienza degli irregolari, perché non è possibile rimandare indietro a piacimento ma serve il consenso della nazione che si riprende i suoi cittadini: e, al di là di quelle che ne sono le cause, è evidente di come questo buco nero nella sicurezza nazionale favorisce la criminalità a tutti i livelli, dal borseggiatore al terrorista islamico. Non a caso, la popolazione carceraria è composta per circa un terzo di extracomunitari su una popolazione straniera effettiva dell’8%: in Svezia, un Paese che ha accolto in percentuale un numero molto maggiore di migranti rispetto a noi, è aumentato in maniera esponenziale il numero di stupri e di omicidi e non a caso in vista delle prossime elezioni di settembre tutti i partiti hanno improntato la loro linea politica sulla tolleranza zero[3]; ricordiamo poi cosa è successo a capodanno del 2016 a Colonia e in altre città tedesche, dove molte furono le donne vittime di stupri, molestie, aggressioni e furti da parte di immigrati ma in poche denunciarono per non essere etichettate come razziste (la notizia emerse a distanza di giorni, coperta dal silenzio dei soliti giornaloni mainstream ma diffusa grazie ai social network). Insomma, il quadro non è affatto roseo, e l’esperienza suggerisce che l’apertura incondizionata in effetti non sembra essere la migliore delle risposte. Per nessuno.

Nasce poi una domanda: se tutti coloro che vengono da noi per motivi economici restassero in patria, non potrebbe questo essere uno stimolo al cambiamento radicale delle condizioni politiche, economiche e sociali di quei Paesi? Da quando siamo nati abbiamo sentito parlare di “terzo mondo”: non sarà che questa valvola sempre aperta dell’emigrazione impedisce alla pentola di scoppiare? Questo pensiero è in un certo qual modo condiviso da buona parte del clero del terzo mondo. Mons. Nicolas Djomo, presidente della conferenza episcopale del Congo, sostiene ad esempio che il flusso in continua uscita di giovani dall’Africa non fa che impoverire ulteriormente il continente:

«Guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali. Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione durature in Africa […]Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi».

Del resto, questa migrazione continua non favorisce altri che le élites locali, perché non fa che perpetuare tutte le disuguaglianze e le ingiustizie sociali (la prima e più grave: l’istruzione solo a pagamento).

L’atteggiamento delle tante associazioni impegnate nel volontariato non va oltre un generico assistenzialismo, che non risolve il problema alla radice e anzi tende a peggiorarlo. Lo si vede ad esempio con le navi delle ONG impegnate nel Mediterraneo a recuperare carrette del mare: da quando queste sono attive i morti nei viaggi della speranza sono aumentati.

In passato anche noi, storico popolo di migranti, ci siamo confrontati con le esigenze dei Paesi che hanno ci accolto (e continuano a farlo): per anni tutti le nazioni destinatarie di flussi migratori, Stati Uniti in testa, hanno bloccato in toto le entrate riaprendo le porte solo quando le condizioni economiche lo rendevano opportuno e utile.

Ritengo in conclusione che dovremmo fare lo stesso: ridurre i flussi in entrata a livelli economicamente e socialmente sostenibili come già previsto dall’annuale decreto “salva-flussi” per i migranti economici e tenere invece aperta la porta dell’accoglienza per chi, suo malgrado, fugge da una situazione insostenibile per sé e la sua famiglia. Per gli altri, probabilmente, il posto migliore è la propria patria.

Alessandro Laudadio

[1] Si vedano ad esempio le linee guida del discorso alla 104° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, gennaio 2018.

[2] Si vedano in proposito i dati e le analisi sull’argomento elaborate all’inizio del mese di Maggio 2018 da ISPI (Istituto per gli studi di Politica Internazionale) e ISMU (Iniziative e Studi Sulla Multietnicità) pubblicate in https://it.sputniknews.com/opinioni/201805236038223-Italia-migranti/.

[3]In proposito una fonte non sospetta è http://www.repubblica.it/esteri/2018/03/28/news/svezia_omicidi-192411190/.

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