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Caso Alfie Evans: false speranze e ostinazione anti curativa

Impossibile sostenere che la vicenda Alfie Evans non abbia un risvolto etico. Ancora una volta la decisione di un tribunale britannico ci invita a riflettere sulla correttezza di una decisione medica. Qual è il limite tra giusto trattamento e accanimento terapeutico? La decisione sull’interruzione di una cura spetta ai medici o ai familiari di un paziente? Qualora un familiare non si trovi d’accordo con una diagnosi (per quanto non abbia le competenze per contestarla) è libero di decidere se portare il figlio (fratello/ padre) in un altro ospedale che abbraccia la sua convinzione?

In questa sede non abbiamo le competenze per stabilire se la decisione dei medici inglesi sia fondata o meno, poiché non abbiamo le conoscenze adatte ad analizzare un caso così complesso, ma ciò nonostante vogliamo analizzare il caso da un punto di vista puramente etico. Sappiamo che la Chiesa stessa si pone contro l’accanimento terapeutico e, in casi complessi come questo, invita i medici a trattare i pazienti terminali con dignità, e se è il caso offrire loro delle cure palliative che li accompagnino ad un trapasso privo di dolore. Il nodo sta proprio in quest’ultimo punto, ovvero nella convinzione che nel caso di Alfie non sia stato fatto tutto il necessario per comprendere se si trattasse o meno di accanimento terapeutico.

L’Opposizione al trasferimento a Roma è stato indotto dalle convinzioni personali del Giudice Hayden?

Ciò che fa dubitare della correttezza della decisione giuridica è quel diniego al trasferimento a Roma. Il giudice Hayden ha reputato questa opportunità come generatrice di false speranze, ma se l’equipe medica del Bambin Gesù ha ritenuto opportuno il trasferimento in Italia, su che base il giudice britannico ha ritenuto che l’opinione di questi medici fosse fallace o dannosa per il bambino? Probabilmente questa idea è frutto del background culturale del giudice, il quale è da anni si occupa di giudicare di questioni legate al diritto di famiglia con un’evidente propensione per una linea progressista, come dimostra la pubblicazione ‘Children and Same Sex Families: A Legal Handbook‘ e le congratulazioni ricevute dalla comunità LGBT al momento della sua nomina come giudice della Corte Suprema.

Non si insinua (ci mancherebbe) che sia una decisione viziata da chissà quale movimento progressista, ma che la visione del mondo opposta a quella religiosa possa aver contribuito a non fargli vedere l’importanza che aveva per i genitori di Alfie la speranza. A riguardo la posizione manifestata a ‘Il Foglio‘ da don Roberto Colombo, genetista e docente all’Università Cattolica di Roma, offre un interessante spunto di riflessione sulla questione accanimento terapeutico: “Gli inglesi chiamano l’accanimento terapeutico con il termine therapeutic obstinacy (ostinazione terapeutica), ma in questo caso, si potrebbe parlare di ‘ostinazione anti curativa’. Questo è il contrario delle autentiche ‘cure palliative’, che prevedono di prendersi cura del paziente inguaribile fino all’ultimo istante della sua vita, senza procurare anzitempo la sua morte con una eutanasia omissiva. La medicina ha bisogno di essere liberata da una ideologia mortale che nega in radice la sua vocazione al servizio della vita”.

Il terrificante precedente dell’Alder Hey Hospital

Grazie al lavoro di ricerca fatto da Aldo Maria Valli, siamo venuti a conoscenza di un precedente scabroso legato all’ospedale in cui è stato curato il piccolo Alfie. Sembra infatti che nel 1999 un bambino italo-inglese, Marcello, sia stato scelto per un espianto di organi senza il previo consenso dei genitori. Ecco di seguito parte della testimonianza della madre Tracy pubblicata sul blog di Valli: “Vivevo a Modena con mio marito Franco che è italiano e ha una ditta di trasporti, ma per avere il bambino sono tornata dai miei, a Liverpool. Anche gli altri due erano nati in Inghilterra. Dieci giorni dopo la nascita respirava male e mi hanno consigliato di portarlo all’ Alder Hey. Mi avevano detto che era il migliore. A venti giorni lo hanno operato al cuore: era il 10 settembre. È morto sotto i ferri. Il coroner ha ordinato l’ autopsia, visto che era morto durante l’ operazione. Ero preparata, non avevano bisogno di chiedere il mio consenso. Ma nel certificato post mortem – che ho visto soltanto adesso – non c’ era scritto nulla di quello che avrebbero fatto dopo. Per questo sì che c’ era bisogno del mio permesso. Marcello è stato svuotato di tutti i suoi organi. Il cuore, il cervello, il fegato, i reni, lo stomaco, l’ intestino… e forse anche la lingua sono conservati negli scantinati dell’ ospedale. I suoi organi riproduttivi non si trovano più, spariti”.

Luca Scapatello

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