Biotestamento: ecco la nostra posizione e quella della Cei

Biotestamento

“Una legge fragile, preoccupante, che presenta un percorso eutanasico”. E’ questa l’opinione della Cei, in merito alla recente legge sul biotestamento. Precisamente, sono parole di don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute.
A noi tutti, infatti, non sembra un passo avanti per la cura adeguata del paziente, ma un escamotage per arrivare a parlare della possibilità di rendere legale l’eutanasia.
Prosegue il prelato: “E’ una legge che viene presentata come una grande conquista di libertà civile, ma limita fortemente la libertà. Il nostro giudizio è negativo, noi non ci riconosciamo”.

La legge, che era stata approvata dalla Camera il 20 Aprile di questo anno, solo qualche giorno ha avuto il beneplacito ultimo del Senato.
All’articolo 3, il suddetto disegno di legge, riporta le “Disposizioni Anticipate di Trattamento” (DAT), ossia le diposizioni sul consenso informato, in merito al decorso della cura somministrata del paziente: “(…) nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Viene promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico il cui atto fondante è il consenso informato”; “Nella relazione di cura sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari” e per i minori si tirano in ballo anche i genitori e la loro influenza sulla prole.

Ma don Angelelli ribadisce, a nome della Cei: “Penso ad esempio ad una persona, magari su una barella, impossibilitato ad esprimersi e che magari ha cambiato idea. Se non ha potuto fare per una qualunque ragione una disposizione dal notaio, che accadrebbe?”. “Entreremo in una fase di difficile applicabilità della legge. Sarebbe stato molto più opportuno ragionare più a lungo, per licenziare un testo più rispettoso delle libertà costituzionali. Siamo davanti ad una legge preoccupante”.
Una legge che probabilmente da spazio alla volontà di fine vita, approfittando, quasi, della debolezza del paziente, costretto a vivere certe situazioni, che umanamente possono sembrare disperate e senza soluzione.

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