I bambini che muoiono, a causa di una interruzione volontaria di gravidanza, possono essere paragonati a quelli di una probabilissima terza guerra mondiale, in quanto a numero di vittime innocenti.
Il numero degli aborti (quelli documentati e non clandestini) è stato, in circa 40 anni, più di un miliardo, in tutto il mondo.
La legalizzazione dell’aborto ha, dunque, aggravato, in molti casi, la situazione, incidendo sui costumi sociali, sul pensiero e sull’opinione pubblica di tutti.
Infatti, quando una pratica discutibile, al limite della moralità, viene legalizzata, siamo tutti portati a ritenere che, in fondo, non fosse poi così grave o condannabile, fino a convincerci che sia una cosa normale e giusta, perché diffusa.
E la legge sull’aborto ci ha fatto credere che sia più importante il diritto delle donne di poter ripudiare una gravidanza, che il diritto del bambino concepito a nascere.
Ricordiamo, come sempre, che ci sono tantissime alternative all’aborto, se una madre proprio non potesse o non volesse tenere il suo bambino.
Ci sono tante associazioni, istituiti, comunità che accolgono madre e bambino o che si occupano delle adozioni, degli affidamenti, come ci sono tante coppie in difficoltà (perché impossibilitati a concepire), che aspettano, da tempo, di poter tenere tra le braccia un neonato.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, ad esempio, nel 2014, ha accolto 586 donne incinte, in18 regione diverse. Molte altre sono state aiutate a comprendere il dono della maternità e a desistere dall’abortire.
Se il sostegno alle donne incinte, indecise, abbandonate a loro stesse, fosse frutto di una collaborazione con le istituzioni, almeno 69.674 bambini potrebbero salvarsi, ogni anno (secondo i calcoli statistici).
Si è appurato, infatti, che una donna incinta su 3 (ossia il 37%) decide di interrompere la gravidanza, perché istigata ad abortire, dall’ambiente familiare, nella metà dei casi; dal partner nel 48% dei casi; dal personale sanitario, nel 25% dei casi.
Antonella Sanicanti
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