Oggi, nelle nostre preghiere, ricordiamo anche, e in maniera speciale, le vittime che, esattamente un anno fa, il 24 Agosto del 2016, morirono, sotto le macerie di Amatrice e dei paesi limitrofi.
A distanza di tanti mesi, molte speranze sono state abbandonate, molti aiuti nemmeno portati a destinazione, ma la tenacia della gente sopravvissuta non ha smesso di cercare un modo per ricostruire il proprio mondo, sgretolato, in quei giorni estivi, sotto centinaia di scosse telluriche.
I rintocchi della campana sono stati 249 (in tutto le vittime furono 299, contando quelli di altri paesi vicini), nella chiesa dove si sono ricordate le vittime, tra loro anche molti bambini, mentre l’amarezza per l’evolversi degli eventi e il ritardo nella ricostruzione, promessa dalle autorità, tornava alla mente.
“Rinviare non paga mai, neanche in politica, perché il tempo è una variabile decisiva.”.
Lo ha ribadito il Vescovo di Rieti, Monsignor Domenico Pompili, durante le celebrazioni alla memoria.
“Ricostruire è possibile, se si evitano frasi fatte: “ricostruiremo com’era, dov’era.”.”. “(E’) falso, quando procediamo alla giornata, senza sapere dove andare. Mi chiedo: siamo forse in attesa che l’oblio scenda sulla nostra generazione per lasciare ai nostri figli il compito di cavarsela, magari altrove? (…)”. “Dalla notte si giunga all’alba: questo è quello che speriamo.”.
E anche noi lo speriamo, in questo Paese che si mostra disponibile e pronto con tante parole, ma stenta a raggiungere risultati pratici, incatenato com’è dalla inutile burocrazia, che perde e prende troppo tempo.
C’è stata la lettura dell’elenco dei nomi delle vittime, la veglia di preghiera, la fiaccolate per le vie ancora disastrate e, alle 03:36, poi, l’ora esatta della scossa peggiore, che toccò Lazio, Marche e Abruzzo, i 249 rintocchi, per non dimenticare.
Ma ricordare è necessario soprattutto per noi estranei ai fatti, per le autorità impegnate nei processi di elargizione dei fondi necessari, per chiunque, dopo un momento di preghiera, torni a casa sereno.
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