San Francesco Saverio è ricordato come il più grande missionario della sua epoca e modello di evangelizzazione anche i secoli successivi.
Evangelizzatore in terre lontane, san Francesco Saverio si ricorda oggi 3 dicembre. Gesuita, tra i primi ad entrare nella Compagnia di Gesù, ha lasciato un grande segno nella Chiesa ed è considerato un vero modello di missionario.
Nacque a Javier nella Navarra, in Spagna, il 7 aprile 1506 con il nome di Francisco de Jaso y Azpilicueta. Ebbe i natali in un castello in quanto apparteneva ad una famiglia nobile: il padre, Juan de Jassu, era il presidente del Consiglio reale di Navarra. Compì gli studi universitari a Parigi e diventò “Magister Artium”. Aveva davanti a sé una brillante carriera accademica quando nella sua vita ci fu un incontro che significò una svolta.
Nel Collegio di Santa Barbara, dove risiedeva, conobbe Pietro Favre e Ignazio di Loyola, che lo formò alla teologia. Il Santo fondatore della Compagnia di Gesù lo definiva “il più duro pezzo di pasta che abbia mai dovuto impastare” per la sua caparbietà. I rapporti tra loro non furono sempre semplici, ma Francesco volle seguirlo e diventare missionario.
Nacque in lui la vocazione ed entrò a far parte del nascente Ordine religioso. Nel 1541 Francesco partì per le Indie, su richiesta di Papa Paolo III che desiderava evangelizzare quelle terre. Fu un lungo viaggio in barca da da Lisbona a Goa, che durò 13 mesi durante i quali affrontò la scarsità di cibo, il caldo atroce e le tempeste in mare.
Arrivato si dedicò alla cura dei più miseri ed emarginati della società: gli infermi, i carcerati, gli schiavi, i minori abbandonati, soprattutto i bambini. A loro insegnava il catechismo raccogliendoli per le strade al suono di un campanello. Si occupò anche di evangelizzare i paravi, ovvero i pescatori di perle.
San Francesco Saverio con la sua opera generava molte conversioni. Queste avvenivano per la fede che riusciva a trasmettere e che si alimentava in un profondo rapporto d’amore con Dio. “Signore, io ti amo non perché puoi darmi il Paradiso o condannarmi all’Inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu” era quanto diceva.
Con una sconfinata fiducia nel Signore si avventurava anche in imprese difficili. Raggiunse la Malacca, l’arcipelago delle Molucche e le Isole del Moro, nonostante fossero luoghi in cui incontrò numerosi pericoli. Poi nel 1547 incontrò un fuggiasco giapponese, di nome Hanjiro, che voleva convertirsi al cristianesimo. L’incontro fece sorgere in lui il desiderio di andare in Giappone, per portare il Vangelo anche nella terra del “Sol levante”.
Dopo il Giappone fu la volta della Cina. È nell’isola di Shangchuan che venne colto da una febbre e stremato per la fatica, il freddo, gli stenti morì il 3 dicembre 1552 all’età di 46 anni. Inizialmente fu sepolto in una cassa piena di calce, senza neanche una croce a ricordarlo. Ma due anni dopo il suo corpo viene traslato, e fu trovato intatto. Portato a Goa, nella Chiesa del Buon Gesù, è lì che è tuttora custodito. A Roma si trova una sua reliquia, l’avambraccio destro , conservata presso la Chiesa del Gesù.
La beatificazione di questo grande santo missionario avvenne nel 1619 e la canonizzazione nel 1622 . Inoltre, nel 1748 fu proclamato patrono dell’Oriente, nel 1904 patrono dell’ Opera della propagazione della fede e nel 1927, delle Missioni, insieme a Santa Teresa del Bambin Gesù.
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