Oggi, 10 Febbraio, Giorno del Ricordo degli Eccidi delle Foibe, le autorità politiche fanno sentire i loro messaggi, in ricordo di quelle vittime. Non mancano le parole del Presidente Mattarella.
“Il “Giorno del Ricordo”, istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire, sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi”.
4 Novembre 1918: L’Italia acquisì Trento, Bolzano, Gorizia, Trieste, Istria, alcune zone della Dalmazia.
Negli anni a seguire, nonostante gli italiani fossero un terzo rispetto agli slavi, si impose in Istria un’italianizzazione a più livelli. Gli slavi non potevano più parlare la loro lingua, i cognomi slavi furono modificati, le organizzazioni assistenziali, culturali, scolastiche e le funzioni religiose slave cessarono o vennero adeguate. Molti libri furono bruciati.
6 Aprile del 1941: L’Italia invase la Jugoslavia (durante la guerra nei Balcani che vide alleati Hitler e Mussolini), acquisì Lubiana, parte della Slovenia, la costa dalmata e la Croazia.
8 Settembre del 1943: Cominciò l’utilizzo delle foibe. Erano, e sono, profondissimi cunicoli sotterranei (molti in Istria), adattissimi a nascondere i cadaveri. In molti, finirono per sempre li dentro. Erano possidenti italiani, responsabili di violenze precedenti, ma anche persone comunissime, come impiegati comunali, operai, avvocati, levatrici, medici, minatori … coinvolti (per colpa della storia) dalle feroci rappresaglie politiche tra nazisti, partigiani e comunisti.
1° Maggio – 12 Giugno 1945: Seconda fase di utilizzo delle foibe. Tito entrò a Trieste e in altre città italiane e si intensificarono le violenze, gli arresti, le deportazioni, le torture. L’esercito anglo-americani arrivò troppo tardi, a contrastare Tito, e molte persone vennero infoibate, solo perché italiani. I partigiani slavi di Tito combatterono contro i fascisti e gli italiani non comunisti, così nelle foibe finirono circa 1000 persone tra fascisti, liberal democratici, socialisti, uomini di Chiesa, donne, anziani e bambini.
Ecco cosa raccontava un superstite delle foibe, Graziano Udovisi (nato a Pola): “L’esercito partigiano comunista slavo è diventato il torturatore di noi italiani (… ), spettava quindi a noi giovani istriani prendere le difese dei civili e della nostra terra, contro gli invasori dell’esercito di Tito che, a tutti i costi, volevano impossessarsi della Penisola”.
Udovisi ricordava che, quella notte, dopo varie sevizie, furono portati, tutti in gruppo, sull’orlo della foiba. Lui era legato al collo di un altro italiano. Vennero poi fucilati, lui si gettò in una foiba piena d’acqua, prima di essere colpito. Fortunatamente, riuscì a slegarsi e a risalire a galla, portando in salvo anche un altro italiano, tirandolo per i capelli!
I reggenti dell’epoca, coloro che non evitarono quel massacro, appartenevano a schieramenti diversi, tutti responsabili di aver reso impossibile la vita al popolo, a coloro che non potevano far altro che subire o difendersi, rischiando, nei due fronti, di essere sempre il nemico di qualcuno. Chi avrebbe potuto salvarsi dalla furia della violenza? Da che parte stare per salvarsi la vita: coi fascisti, con Tito, con Togliatti e Nenni, con Roosevelt, Churchill o Truman, con la Dc di De Gasperi, col Vaticano di Pio XII? Questi i “capi” protagonisti di quelle vicende.
10 Febbraio 2004 (finalmente): il Parlamento italiano dedica una Giornata al Ricordo dei morti nelle foibe, ma, ad oggi, le questioni in merito a quella pagina di storia sono ancora confuse. Molte persone, che non risultarono né italiane, né slave (non per loro volere, ma perché costretti alla fuga per i fatti su citati), sono ancora trattate come esuli.
Il tragico resoconto, dopo più di 70 anni da quella strage, desta tanto malumore, non solo per l’evento in se, quanto e soprattutto, per l’indifferenza dilagante che sembra perpetuarsi lungo tutto l’asse storico del nostro amatissimo Paese, che spesso dimentica l’aspro significato del rosso della bandiera, secondo i nostri poeti: il sangue versato per la Patria.
Antonella Sanicanti
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