Papa Francesco ribatte a Erdogan che vuole islamizzare la Turchia.

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Hanno colto nel segno le parole pronunciate domenica 12 aprile da papa Francesco nel saluto rivolto prima della S. Messa in S.Pietro ad un gruppo di fedeli di rito armeno. E la stizzita reazione della Turchia lo ha dimostrato. A mons. Antonio Lucibello, Nunzio della Santa Sede ad Ankara, il Ministero degli Esteri ha espresso il proprio «disappunto» e lo ha informato in merito alla protesta del governo: le parole udite sono state definite «un insulto» al popolo turco.

Non solo: l’amministrazione Erdogan ha immediatamente fatto rientrare il proprio ambasciatore in Vaticano, accusando il Pontefice di aver fatto affermazioni «basate sul pregiudizio» e tali da «distorcere la Storia», nonché «in contrasto col messaggio di pace e convivenza», cui si erano abituati nella “Chiesa della misericordia”.

È bastato che il Sommo Pontefice, proclamando dottore della Chiesa l’armeno San Gregorio di Narek, ricordasse il «grande male» (Metz Yeghérn) di fronte al Presidente dell’Armenia, Serž Sargsyan, al Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II, al Catholicos della Grande Casa di Cilicia, Aram I, ed al Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici, Nerses Bedros XIX, per mandare su tutte le furie l’intelligencija turca.

Eppure, in quel «genocidio», come lo ha definito il Santo Padre, persero la vita tra 1.400.000 e 2 milioni di cristiani armeni, massacrati dai Giovani Turchi tra il 1915 ed il 1924 assieme a siri cattolici e ortodossi, assiri, caldei e greci antiocheni: Vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi persero la vita nell’«indifferenza generale e collettiva», nel «silenzio complice di Caino», come ha detto il Papa. Durante le deportazioni forzate furono costretti a lunghe marce e lasciati privi di qualsiasi mezzo di sussistenza. Fu, insomma, «un immane e folle sterminio». Fu, quello, anzi il «primo genocidio del XX secolo», come ha ribadito il Pontefice, richiamando le parole utilizzate nella Dichiarazione comune, firmata nella Cattedrale di Etchmiadzin da Giovanni Paolo II e dal Patriarca Karekin II il 27 settembre del 2001, 1700 anni dopo la proclamazione del Cristianesimo quale religione dell’Armenia.

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Genocidio equiparato dal Pontefice a nazionalsocialismo e stalinismo. Secondo il governo di Ankara, invece, effettivamente durante le deportazioni sarebbero morti migliaia di armeni (già ridimensionando drasticamente così le cifre reali, ben più imponenti), ma nega che si sia trattato di «uno sterminio organizzato» e soprattutto sostiene che «nell’Impero anche altre comunità religiose abbiano sofferto il conflitto, compresi i musulmani». Incredibile, come se si trattasse di fenomeni quantitativamente e qualitativamente comparabili…!

Secondo l’opposizione turca, le parole di papa Francesco avrebbero il potere di incrementare «provocazioni distruttive». Dimenticando come, di distruttivo, la cronaca registri ben altri gesti, recentemente compiuti ad Ankara e dintorni. Lo scorso 16 marzo il Presidente Erdogan, durante la cerimonia per la consegna delle medaglie d’onore ai veterani dell’esercito ed alle famiglie dei soldati caduti in battaglia, abbia fatto, lui sì, affermazioni esplosive, definite dal giornale di sinistra di Istanbul, il “BirGun”, un chiaro «appello alla jihad».

Secondo il leader turco, «la lotta, iniziata 1.400 anni fa tra la verità», ovvero l’islam, e «l’errore», ovvero le altre confessioni, non sarebbe «ancora terminata», anzi sarebbe «tuttora in corso» e destinata a proseguire, creando «martiri» nel senso islamico del termine oppure «ghazi», titolo onorifico proprio dei veterani sopravvissuti alla guerra sferrata in nome di Allah. Non solo: per la prima volta dopo 85 anni, Ali Tel, imam della moschea di Ahmet Hamdi Akseki di Ankara, ha recitato un passo del Corano nella Basilica di Santa Sofia, ad Istanbul, prima chiesa, poi moschea, ora museo. L’episodio è avvenuto dinanzi ad alti funzionari turchi – tra cui il Presidente di Diyanet, Presidenza degli Affari Religiosi del Paese, Mehmet Gormez – durante una cerimonia in occasione dell’apertura di una mostra dal titolo L’amore del profeta, aperta fino all’8 maggio, con un’esposizione di opere calligrafiche in onore di Maometto.

In un clima così non convincono le ultime mosse, cui si è assistito sullo scacchiere internazionale: ad esempio, l’1,9 miliardi di euro concessi dall’Unione Europea alla Turchia, Turchia che, dal canto suo, ha appena stretto ben otto accordi economici e commerciali con l’Iran, sdoganato dall’amministrazione Obama e cui Putin con un decreto ha promesso di vendere missili anti-aerei S-300, anche prima della revoca definitiva delle sanzioni. Tanto attivismo su fronti così delicati è quanto meno sospetto tenendo conto delle bellicose dichiarazioni pubbliche rese da Erdogan.

Ovviamente favorevole alle parole del Papa è invece il Presidente dell’Armenia Sargsyan, che ha dichiarato: «Il Santo Padre ha lanciato un vigoroso messaggio alla comunità internazionale, i genocidi non condannati rappresentano un pericolo per l’intera umanità». Specie per il timore che possano preludere a nuove tragedie… (Mauro Faverzani)

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